Di nuovo, ancora, viviamo tempi difficili, impegnativi, che ci interrogano.
Dopo i conflitti per il lockdown, ora quelli sulle regole, sui limiti, sulla libertà. Parola e concetto dalle molte facce e livelli (e mal compreso), ma non impantaniamoci in discussioni filosofiche…
Quello che vediamo, con preoccupazione, è la radicalizzazione del discorso, la polarizzazione del dialogo che diventa velocissimamente conflitto, scontro, incapacità di ascolto e battaglia in nome della verità.
Si invocano i dati su cui imbastire un ragionamento condiviso, si cercano principi di base da condividere nonostante tutto…
Ma i dati non sono mai oggettivi, né definitivi, ancor di più se non ci fidiamo di chi li misura, di chi li fornisce, e possiamo sempre lamentare che sono deformati, se non manipolati ad arte.
I principi di base in teoria ci sarebbero (la nostra Costituzione, il rifiuto della violenza), ma anche qui l’interpretazione viene a erodere le fondamenta e si finisce per arroccarsi su opposti schieramenti (“è legittimo combattere una dittatura ”, “facciamo in modo che una protesta non leda i diritti della maggioranza”).
Questo tipo di dialettica del sospetto e dello scontro apre spesso la strada ad atteggiamenti persecutori, per cui l’altro non capisce nulla perché non vuole sapere ciò che è necessario sapere, o è in malafede, e difende una posizione per interessi, anche solamente psicologici, personali, e non ha il coraggio di cambiare idea …
In ognuno possono risuonare i discorsi di amici o conoscenti o l’eco di dibattiti televisivi.
Sottolineiamo che questi meccanismi, questo atteggiamento che tende a leggere la realtà in rosso e nero, giusto e sbagliato, vero e falso, è presente in entrambe le parti (stavamo per scrivere “partigianerie”), così come in ognuno di noi, ma appunto deve essere riconosciuto e tenuto a bada. Spesso è l’espressione di un meccanismo difensivo che cerca – disperatamente- di far fronte a una realtà complessa che fatichiamo a gestire in cui le certezze traballano, le verità vengono smentite, le sicurezze nascondono interessi più o meno leciti.
Fa specie constatare che la maggior parte di noi passa la cena a guardare il telegiornale che parla dei problemi del mondo intero e viene quindi sollecitato a preoccuparsene, a farsene un’idea, a prendere posizione. Ognuno di noi dovrebbe pensare ai problemi globali e immaginare un impegno e una posizione. Va bene che siamo in una democrazia, e ognuno deve dare il suo contributo, ma ci accorgiamo di che peso grava sulle spalle di ognuno e non solo sul Presidente di Turno?
Da molti anni ci occupiamo di problematiche della relazione lavorando con pazienti adulti e coppie. A nostra volta siamo una coppia. Il mondo del 2 ci ha insegnato tantissime cose, ad esempio che non si può procedere con il voto di maggioranza… In una coppia ci troviamo sulle piccole o grandi questioni a scegliere se seguire una logica di potere a somma zero in cui uno vince e l’altro perde (e si prepara immediatamente alla rivincita…) in nome di una presunta verità – la propria – oppure ricercare con la pratica del dialogo, dell’ascolto e della negoziazione una via che porti a ciascuno un qualche vantaggio o, almeno, riduca il danno.
Questo implica spostarsi da un’ottica che privilegia il bene individuale (i miei bisogni, i miei diritti, i miei desideri…) a una visione che cerca attivamente un bene comune. Certo – sarà facile obiettare – non sempre questo è possibile, per cui a volte si giunge inevitabilmente ad una rottura. Anche in questo caso però ci troviamo nella condizione di scegliere: trasformare la rottura in guerra oppure in un più ragionevole e sostenibile scioglimento del legame con l’accettazione delle differenze.
Siamo ben consapevoli che non si può semplicemente replicare lo schema della relazione duale su quella più ampia dei gruppi, delle comunità, dell’umanità intera. Molti sono i fattori economici, politici, sociali e anche psicologici che intervengono. Ma noi cogliamo con preoccupazione delle linee di tendenza che attraversano la relazione duale così come l’intera società.
Quello che vogliamo dire è che ci pare prima di tutto necessario delimitare le responsabilità di ognuno e anche la sua sfera di azione e cognizione.
Quello che vogliamo suggerire è che ciascuno ci metta del suo nel cercare di dialogare ascoltando l’interlocutore.
Quello che secondo noi è necessario è evitare lo scontro e la polarizzazione, ma invece cercare sempre il terreno comune.
Ci vorrà pazienza, ci vorrà uno sforzo, dovremo ascoltare le ragioni dell’altro, spiegare le nostre, ma la strada costruttiva è quella della collaborazione.