Recensione del romanzo Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut
«Ci saranno sempre guerre, impedire una guerra è facile come fermare un ghiacciaio»
Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini è un romanzo di Kurt Vonnegut pubblicato nel 1969, che da allora rappresenta con forza una posizione pacifista, sull’inutilità di tutte le guerre, che non risolvono i problemi ma ne creano di maggiori.
In un periodo storico come il nostro credo sia necessario tornare a queste riflessioni che siano di antidoto al clima polarizzante e belligerante che tende a dominare e a farci sembrare la guerra un male inevitabile.
Contro questa logica pericolosissima, leggere Vonnegut è un respiro profondo.
Il libro racconta la storia di Billy Pilgrim, un uomo che è stato catturato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale ed è sopravvissuto al bombardamento di Dresda, vicenda tragica realmente accaduta all’autore.
Pilgrim è un uomo strano, ha il dono di viaggiare nel tempo e di ritrovarsi in momenti diversi della sua vita. Il libro racconta le sue avventure, dal bombardamento di Dresda, alla prigionia in un campo di concentramento, e poi il ritorno a casa, fino all’incontro con gli alieni di Tralfamadore: uno strano mondo folle, espressione di un disturbo post-traumatico di cui soffrono l’autore e il personaggio, evidente nel suo comportamento e nelle sue visioni.
Il realismo forte e disturbante del libro nelle parti sulla guerra lascia spazio a una descrizione grottesca del mondo alieno, rappresentazione caricaturale del nostro stesso mondo.
Il narratore afferma che Billy è “un saltatore nel tempo”, condizione che lo rende in grado di viaggiare avanti e indietro nella sua vita. Questo può essere interpretato come una manifestazione di dissociazione, una forma di autodifesa psicologica in cui la mente si separa dalla realtà per affrontare eventi traumatici. Il salto nel tempo di Billy può essere considerato una forma di evitamento emotivo o disimpegno dall’affrontare i ricordi dolorosi della guerra.
Vonnegut è un autore geniale, capace di raccontare storie in modo originale e coinvolgente, ma spesso folle e allucinato, spiazzante. Non bisogna aspettarsi un racconto lineare e logico, quanto piuttosto pugni nello stomaco seguiti da suggerimenti filosofici che accarezzano l’anima, come quando suggerisce di concentrarsi solo sugli aspetti positivi della vita, tralasciando tutti gli avvenimenti tragici, come fanno gli alieni.
«C’è una cosa che i terresti potrebbero imparare a fare, se davvero si sforzassero: ignorare i brutti momenti e concentrarsi su quelli buoni»
Con una stoccata maligna verso certa psicologia buonista: «Un’altra volta Billy sentì dire a uno psichiatra: “Mi sa che voialtri dovrete tirar fuori un mucchio di nuove magnifiche bugie, se vorrete che alla gente non passi la voglia di vivere”»
Un altro aspetto interessante dal punto di vista psicologico è come Vonnegut esplora il concetto di destino e libero arbitrio attraverso la prospettiva di Billy che, su insegnamento dei Tralfamadoriani, crede che il tempo sia un continuum fisso e predeterminato, in cui tutti gli eventi sono già scritti e non possono essere modificati. In questa forma di fatalismo possiamo cogliere una reazione psicologica alla mancanza di controllo che Billy ha sperimentato durante la guerra.
Inoltre, Billy manifesta una mancanza di emozioni o reazioni adeguate alla sofferenza che ha subito. Anche quando incontra altre vittime e sfollati della guerra, sembra essere distante o privo di empatia. Anche questo può essere interpretato come una forma di dissociazione emotiva, una sconnessione tra le sue esperienze traumatiche e la capacità di provare emozioni.
Il libro affronta anche il tema della perdita dell’identità e dell’importanza della presenza di un significato nella vita di una persona.
Billy, dopo la guerra, diventa un ottimista passivo, accettando semplicemente tutto ciò che gli accade senza cercare un significato o uno scopo più profondo. In questo modo forse egli tenta di adattarsi al trauma, lasciandosi fluire nella “normalità” della vita quotidiana.
Vonnegut ci ha provato per tutta la vita, scrivendo però molti libri di fantascienza grottesca e sociologica.
In sintesi, Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut rappresenta innanzi tutto un grido di dolore post traumatico lucido e consapevole sulla guerra, l’aggressività e la follia umana, e poi un’interessante esplorazione dei diversi aspetti che connotano il disturbo post-traumatico da stress, quali la dissociazione, la mancanza di empatia, il fatalismo e l’adattamento al trauma.
Attraverso la figura di Billy Pilgrim, il libro ci spinge a riflettere sul modo in cui le esperienze traumatiche, e quindi la guerra ma anche la narrazione dei conflitti, possono influenzare la mente e il comportamento di una persona, ma soprattutto ci invita a rifuggire quel mondo che ancora ci seduce con le sue fanfare, le sue bandiere, i suoi proclami.
Vonnegut smaschera l’ipocrisia di chi fa la guerra con la giovinezza degli altri, dei fanatici e dei sadici aizzati dai padroni del male. E del peso che hanno i racconti enfatici sulla guerra.
A un certo punto nel libro si racconta la genesi del libro stesso, in un cortocircuito tipico di Vonnegut, e c’è una madre che, intuendo cosa lui sta scrivendo, gli dice amareggiata:
«Eravate solo dei bambini, durante la guerra.
Fingerai che eravate degli uomini anziché dei bambini, e poi mi tirano fuori un film interpretato da Frank Sinatra e John Wayne o da qualcun altro di quegli affascinanti vecchi sporcaccioni che vanno pazzi per la guerra.
E la guerra sembra qualcosa di meraviglioso, e così ne faremo tante altre.
E a combattere saranno sempre dei bambini come quelli che ho mandato di sopra.»
«Allora capii. – qui è Vonnegut che parla – Era la guerra a farle così rabbia. Non voleva che i suoi bambini o bambini di chiunque altro si facessero ammazzare in guerra.
E pensava che le guerre fossero in parte incoraggiate dai libri e dai film.
Così alzai la mano destra e feci una promessa.
“Mary,” dissi, “non credo che arriverò mai a finire questo libro. Ormai devo avere scritto 5000 pagine, e le ho buttate via tutte.
Semmai lo finirò, comunque, le do la mia parola d’onore: non ci sarà una parte né per Frank Sinatra né per John Wayne”.
“Le dirò una cosa” feci. “Lo intitolerò La crociata dei bambini”»
«Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare a un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra i nemici non devono riempirli di soddisfazione o di gioia. Ho anche detto loro di non lavorare per società che fabbricano congegni in grado di provocare massacri, ed esprimere il loro disprezzo per chi pensa che congegni del genere siano necessari»
Lo dico anche io, lo dice anche Dario Lapi:
NO WAR!
Per chi volesse approfondire una lettura psicologica dei conflitti, e di quello attuale tra Hamas e Israele, segnalo il buon articolo scritto da Jessica Stern e Bessel van der Kolk dal titolo “Conflitto israelo-palestinese: come le intuizioni della pratica terapeutica possono aiutare a costruire la pace”
Bessel van der Kolk, MD, clinico e ricercatore è probabilmente il più rinomato esperto al mondo nel trattamento del trauma. Il suo lavoro integra aspetti evolutivo, neurobiologici, psicodinamici.